Esistono rari momenti di privilegio nella vita, come poter andare nel deserto peruviano con il proprio padre e un grande amico ed esploratore, il Sig. Roberto Penny Cabrera.
Questo viaggio è stato fatto l’ 8 Gennaio 2014 e Roberto con la sua Nissan Patrol, ormai trasformata in dinosauro del deserto, è venuto a prenderci verso le 8.00 di mattina.
Destinazione il deserto di ICA in luoghi quasi inesplorati anche perché dopo un certo punto, inoltrandosi verso l’interno, inizia la “Death zone”. In pratica da lì in poi i cellulari non hanno più ricezione e non è più possibile comunicare con il mondo civilizzato.
Rimane tutto in mano quindi alla destrezza del pilota e del mezzo con cui si sta andando in esplorazione.
Roberto controlla sempre ripetute volte lo stato della sua “camioneta” prima del viaggio , la conosce come se stesso e si porta sempre dietro la ferramenta per poter riparare eventuali guasti imprevisti.
Mio padre con Roberto, è la prima volta che viene nel deserto, spero proprio che sia un esperienza che gli rimanga dentro come è successo a me!
Ecco il dinosauro con ruote maggiorate, sospensioni rinforzate, paraurti stile Hammer e io che sorrido insieme a Roberto e spero che anche questa volta riesca a riportarci a casa!
Qui, in una delle prime soste, una delle linee, simile a quelle di Nazca, realizzata da preispanici. A circa una decina di metri una linea gemella a questa. Continuano entrambe parallele e per parecchi chilometri in modo perfetto.
Posso confermare che ho personalmente visto vicino alla linea, un pezzo di Spondylus, una conchiglia rituale molto importante per i religiosi di allora che si facevano arrivare addirittuara dalle calde acque dell’Ecuador.
Ci tengo a precisare che una delle cose che accomuna la maggior parte delle linee in Perù, comprese quelle di Nazca, è il ritrovamento di offerte di conchiglie e pezzi di ceramiche, frantumate al suolo come offerta rituale.
La mia impressione personale è che tutti gli sforzi per creare queste strutture e i rituali ad esse associate dovevano servire ad attivare le linee, a renderle vive, per ottenere una comunicazione, anche grazie al largo uso di sostanze allucinogene come il San Pedro, con la MADRE TERRA.
Qui la foto che mostra le due linee parallele.
Un altra foto della zona in panoramica
Nella zona anche la natura crea le sue linee, queste sono dovute all’incontro delle due placche tettoniche di Nazca e dell’America del Sud. Qui il terreno continua ad alzarsi da milioni di anni di pochi millimetri all’anno ma costantemente. Nella zona, ci dice Roberto, la pressione delle due placche crea uno sfasamento del magnetismo terreste e la bussola in parecchi punti inizia a “impazzire”.
Ecco nel bel mezzo del deserto un riparo preispanico. Precisiamo che nella zona lo sbalzo termico fra il giorno e la notte è notevole e anche i venti soffiano incessantemente. I ripari di allora erano essenziali ma molto intelligenti, venivano costruiti con pietre creando uno sbarramento di forma semi ellittica rispetto al vento e completati con arbusti e vegetazione. Gli stessi manti e teli che si portavano dietro venivano utilizzati forse per chiudere la parte superiore e creare così un ambiente ventilato e riparato dal freddo notturno e dalla calura del giorno.
Ecco un altro riparo che col tempo si è riempito di sabbia.
Riprendendo il cammino ci fermiamo poco dopo per vedere un cranio preispanico e uno strumento in legno che si pensa utilizzassero in agricoltura e per scopi di difesa. Il cranio presenta la ben nota deformazione craniana, cioè l’allungamento della testa utilizzando tavolette di legno, applicate fin dalla nascita e riscontrata in quasi il novanta per cento dei crani della cultura Nazca!
Foto panoramica dell’uomo preispanico di ieri e di quello di oggi.
Ci siamo poi spostati in un altra zona dove è stato possibile apprezzare, come ci ha spiegato la nostra guida, come gli antichi riuscivano, attraverso le costruzione di questi archi di pietra consecutivi a incanalare la poca acqua della zona. Sinceramente tutta la zona è desertica e l’unica acqua di cui si può disporre è quella che condensa la notte sulle pietre. Solo risalendo a parecchi millenni prima, quando il clima della zona era più favorevole, sarebbe possibile spiegare la teoria di Roberto, però poi c’è il problema che queste strutture dovrebbero risalire a migliaia di anni fa!
Un altra foto della zona. Sulla destra si vedono sulla parete gli archi come nella foto precedente e una canalizzazione nella zona piana che termina con uno sbarramento. La cima di questa collina è piatta, senza sabbia e piena di sassi, forse proprio questa sua peculiarità la rendeva un tempo adatta a raccogliere la condensa e l’umidità notturna (o forse la pioggia), che veniva poi incanalata fino a valle.
Nella zona è presente la famosa mano degli Inca, una vecchia formazione rocciosa che è stata prima erosa della correnti oceaniche quando ancora si trovava nel fondo marino e poi adattata dei preispanici per sembrare una mano.
Ecco la stessa pietra vista di lato.
Qui, nel centro della foto, un altro allineamento di pietre che vanno a formare un rettangolo in pendenza sulla collina adiacente.
Qui un canion alluvionale formato dall’erosione di acqua e fango che in pochi giorni di piogga sulle montagne si trasforma in un torrente in piena che travolge ogni cosa.
In alcuni casi questo cataclisma è arrivato a sommergere di fango alcune zone periferiche di ICA portando distruzione e morte. Questo fenomeno era ben conosciuto e temuto anche dai preispanici che lo chiamavano in quechua “huayco”.
Qui in evidenza il fiume ICA e il canion che ha scavato col passare dei millenni nel deserto.
Eccoci invece in una zona dove abbiamo potuto osservare parecchi fossili marini e i famosi denti di megalodonte, lo squalo preistorico lungo fino a 18 metri che viveva nella zona milioni di anni fa quando tutto questo deserto era un basso fondale oceanico.
Qui il fossile preistorico di una balena nana.
In’ possibile ancora notare chiaramente la spina dorsale e il cranio.
Da qui in poi una serie di stupende panoramiche del deserto di ICA che grazie ai suoi interminati spazi, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete creano un mondo surreale che sarebbe piaciuto molto al nostro Giacomo Leopardi.
La mia sensazione, dopo esserci venuto già diverse volte è proprio questa, un contatto più profondo con il nostro mondo, quello con cui i preispanici cercavano di comunicare, la PACHAMAMA. Un legame orami perso, strettamente legato ai misteri che i popoli preispanici si sono portati dietro. Ecco le foto.
Questa spedizione nel deserto termina con un ringraziamento speciale a Roberto Penny Cabrera che ormai, dopo parecchi anni di esplorazione, è diventato un vecchio “zorro del desierto”, una vecchia volpe, come ama definirsi lui. Una persona stupenda che ha imparato a percepire le sfumature del deserto come facevano i preispanici e che ogni volta ci svela segreti nuovi di questo bellissimo e misterioso mondo e delle genti che lo hanno abitato rispettandolo e lasciando dietro di se solo delicate tracce ancora oggi cariche di profondo significato.
Un saluto di cuore e alla prossima.
Enrico
Carissimo articolo favoloso e foto meravigliose, una avventura spettacolare e indimenticabile, attraverso il deserto di ICA, spero di poter condividere pure io a queste avventure
Certo Enzo, una di queste volte andiamo insieme, la magia del deserto ti rimane dentro!